Ciao amici lettori, oggi vi chiedo un po' di tempo per leggere un racconto scritto da me.
Di cosa parla?
Beh, parla di amore, fantasmi e omicidi...
Buona lettura.
Voleva
solo giustizia.
Samuel
si guardò attorno soddisfatto, soltanto un mese fa quella casa era
spoglia e abbandonata, ora appariva confortevole e calda.
Volendo
dare una svolta alla propria vita dopo la separazione dalla moglie,
Samuel aveva deciso di cercare una nuova casa in un'altra città
tagliando così i ponti con vita passata.
Era
incappato per caso in quella casa in stile vittoriano e ne era
rimasto talmente affascinato da proporre qualsiasi cifra pur di
accaparrarsela.
In
verità non aveva dovuto insistere più di tanto, sembrava che
nessuno volesse abitare in quella casa, si diceva che fosse
circondata da una strana aura e, in effetti, qualcosa nell'insieme
dava i brividi.
Forse
la sua cattiva fama dipendeva dalle cattive condizioni in cui
riversava, o forse dal fatto che fosse quasi interamente circondata
dal bosco, la luce del sole la illuminava soltanto poche ore al
giorno.
Ma
in fondo era proprio quella quiete che cercava l'uomo, avrebbe avuto
seri problemi ad esercitarsi al pianoforte con dei vicini.
Si
avvicinò al pianoforte e suonò un paio di note sorridendo, sentiva
che lì sarebbe finalmente riuscito a riprendere in mano la propria
vita.
Le
prime giornate scorsero tra scatoloni da svuotare, armadi da
riempire, oggetti da spargere in giro per le stanze e qualche
esercitazione al piano.
Finalmente,
circondato dai propri oggetti, si sentiva davvero a casa, cominciava
ad ambientarsi e a trovare i propri ritmi.
Certo
non era così difficile visto che non aveva nessuno, a parte Lucky,
il suo fedele dalmata, con cui convivere, e si da il caso che
quest'ultimo non fosse poi così esigente, gli bastava essere portato
a spasso un paio di volte al giorno, avere le ciotole piene e qualche
coccola durante la giornata.
Lucky
era il suo compagno da 6 anni e non avrebbe mai e poi mai rinunciato
a lui, in fondo era anche a suo beneficio se aveva finito per
scegliere quella casa, dove il cane avrebbe tranquillamente
scorrazzare all'esterno senza il timore di finire sotto qualche
auto,ora aveva tutto il bosco per sé in cui poter curiosare senza
correre pericoli.
Un
forte trambusto proveniente dal piano superiore lo fece trasalire.
Corse
su per le scale con il cuore a mille e si ritrovò dinanzi Lucky
tutto concentrato a scavare sotto il mobiletto in corridoio.
“Ma
che diavolo stai facendo?” gli chiese avvinandosi al cane tra il
divertito e l'irritato.
Cercò
di scansarlo di lato ma Lucky non ne volle sapere, raspava e piantava
il muso nello spazio tra il legno ed il pavimento cercando di
afferrare qualcosa con i denti.
“Accidenti
Lucky! La vuoi piantare? Levati e fammi vedere.” borbottò Samuel
spingendo via il cane ed accovacciandosi a propria volta per guardare
sotto al mobile.
In
un primo momento non vide nulla poi però i suoi occhi catturarono
quello che sembrava un pezzetto di carta incastrato tra la gamba del
mobiletto ed il muro.
Possibile
che Lucky fosse così irritato per quel pezzettino di carta?
Allungò
la mano e riuscì ad afferrarlo.
Si
trattava di una foto, una foto di famiglia.
Sedute
su una panchina vi erano due donne, parevano madre e figlia e dietro
di loro, in piedi, vi era un uomo.
Scrutò
attentamente la più giovane delle due donne, aveva lunghissimi
capelli scuri e sorrideva ma era un sorriso triste che non
coinvolgeva affatto gli occhi, poteva avere una ventina di anni ed
era molto bella, di una bellezza pulita e semplice.
Si
voltò verso Lucky, che pareva essersi repentinamente calmato, e gli
fece una carezza.
“Mattacchione,
era questa a darti fastidio?”
si
alzò in piedi stringendo ancora la foto in mano, gli balenò in
mente di gettarla via ma qualcosa lo fermò da quell'intento.
Si
chiese se appartenesse alla famiglia che lo aveva preceduto, con
questo pensiero in testa aprì il cassetto del comò e vi mise dentro
la fotografia rispondendo ad un istinto che nemmeno lui seppe come
spiegare.
Più
tardi decise di fare due passi con Lucky per vedere quali meraviglie
si nascondessero nei dintorni della casa.
Oltre
che un eccellente pianista, Samuel, aveva la passione per la
fotografia, amava portarsi la macchina fotografica ovunque nella
speranza di beccare l'occasione giusta per scattarne qualcuna.
Sapeva
che ne avrebbe sicuramente scattato di bellissime durante la
scampagnata, amava particolarmente i colori autunnali e il bosco
poteva senz'altro essere un ottimo spunto per catturare qualche buon
soggetto.
Ne
scattò moltissime, principalmente a Lucky che scorrazzava felice
infilando il naso un po' qua e un po' là, frenetico nel voler
esplorare ogni singolo angolo, albero o fili d'erba che trovava sul
proprio cammino.
Di
punto in bianco però il cane si fermò e mostrò un certo interesse
per un albero in particolare.
Vi
si posizionò davanti osservandolo con quell'aria buffa che hanno i
cani quando qualcosa cattura la loro attenzione.
Samuel
prese a ridere mentre Lucky inclinava la testa un po' a destra, un
po' a sinistra, muoveva le orecchie e scodinzolava come se vedesse
qualcosa o qualcuno.
Incuriosito
l'uomo scattò qualche foto per imprimere su carta
quell'atteggiamento buffo del proprio cane.
“Sei
proprio un mattacchione! Forse il trasferimento ha fatto più danni a
te che a me...” e detto questo richiamò il cane per tornare a casa
ma lui parve non sentirlo nemmeno ancora intento a scodinzolare
all'albero.
“Lucky
dai vieni. Ma che avrà di così particolare quell'albero?”
borbottò chinandosi per sfiorare il fianco del dalmata che si
riscosse dalla trance e guardò il padrone con espressione confusa.
Si
girò di scatto e si sporse per leccargli il viso facendolo
sbilanciare e cadere gattoni. Ovviamente Lucky ne approfittò per
leccargli la faccia ed atterrarlo definitivamente.
Mentre
erano intenti a giocare un fruscio scosse le foglie dell'albero a cui
Lucky aveva rivolto la propria attenzione. Samuel si fermò a
contemplare quell'albero e d'improvviso provò una strana sensazione,
come quando qualcuno ti osserva.
Eppure
lì non c'era nessuno se non un albero.
Si
rialzò spolverandosi i calzoni ma, prima di tornare sui propri
passi, si girò a guardare ancora quel punto come se potesse vedervi
qualcosa e venne scosso da un brivido.
“Andiamo
vecchio mio, meglio rientrare ora.” disse poi al cane tirandosi su
la cerniera del giubbotto improvvisamente infreddolito.
Sospirò
e si rigirò nel letto in preda alle visioni.
Nel
sogno stava rincorrendo una ragazza, i suoi lunghi capelli castani
svolazzavano dietro di lei, la sua risata cristallina, come quella di
una fata, risuonava nel bosco risvegliandolo.
Filava
davvero veloce e rischiò di perderla di vista mentre si tuffava nel
profondo del bosco dove gli alberi si facevano più fitti.
“Ehi,
aspetta!” le urlò dietro allungando il passo come un lupo dietro
alla sua preda.
La
ragazza parve rallentare un poco ma non si voltò ne si fermò.
Samuel
accelerò ancora il passo e finalmente riuscì a raggiungerla, la
afferrò per un braccio e la fece voltare...qualcosa saltò sul
svegliandolo di soprassalto.
Lanciò
un urlo roco balzando seduto sul letto e trovandosi a non più di due
centimetri dal muso di Lucky.
“Lucky,
accidenti a te ma che ti prende? Vuoi forse dormire sul letto? ti
senti solo eh?” e sorridendo si lasciò cadere nuovamente sul letto
battendo la mano sul materasso accanto a sé “Vieni qui dai. Ma
solo per questa volta, non prenderlo di vizio.”
Il
cane tutto felice si acciambellò al suo fianco e, sospirando
soddisfatto, chiuse gli occhi pronto per una bella e comoda dormita.
Samuel
ci mise un po' prima di riprendere sonno.
Chi
era quella ragazza? Perché aveva fatto quel sogno?
Scosse
la testa dandosi dello stupido da solo, i sogni sono solo sogni.
Ma
era davvero così?
Per
qualche giorno le cose sembrarono migliorare, Samuel si dedicò anima
e corpo agli esercizi al piano, presto avrebbe dato un concerto e non
poteva certo permettersi di sbagliare nemmeno una nota.
Aveva
già perso fin troppo tempo.
Suonò
così tanto che, alla fine, dovette smettere per il dolore alle dita.
Si
alzò e si diresse in cucina per farsi un tè.
Lucky
stranamente rimase disteso sul divano a dormicchiare invece di
seguirlo, ultimamente si comportava in modo strano, forse per via del
trasferimento, non era facile per un animale ambientarsi in una casa
nuova, lo immaginava, del resto lui stesso faceva ancora un po'
fatica a trovare le cose e a sentirsi davvero a casa.
Mentre
sorseggiava il tè gli giunse il suono di una nota.
Sorpreso
mosse in direzione del salone ma vi trovò solo Lucky che lo
guardava sonnacchioso dalla comoda postazione.
“Bah,
sono talmente teso che ormai mi immagino le cose.” brontolò
sfregandosi la fronte e dirigendosi nuovamente in cucina in cerca di
biscotti.
Al
suono del sacchetto Lucky gli arrivò alle calcagna guardandolo
speranzoso.
“Va
bene ma solo uno.” e gli diede un biscotto.
Si
perse a guardare dalla finestra mentre il vento faceva cadere le
foglie in una strana pioggia di colori caldi.
Un'altra
volta gli giunse all'orecchio il suono del piano.
Spaventato
mollò la tazza che si frantumò a terra e corse in salotto ma, nel
momento esatto in cui entrava nella stanza, il piano tacque.
Rimase
a guardare il piano per diversi minuti prima di trovare il coraggio
di avvicinarsi e suonare qualche nota.
Sembrava
funzionare come al solito.
Si
allontanò mentre un brivido gli correva su per la schiena. Almeno
per quel giorno non aveva intenzione di suonare di nuovo.
Era
passato un mesetto buono da quando Samuel si era trasferito nella
nuova casa ed aveva incontrato finalmente l'unica “vicina”, se
così si poteva chiamare, che viveva a dieci minuti buoni a piedi
dalla casa vittoriana.
La
signora Mcgonall era un'adorabile donnina sulla settantina con la
passione per il giardinaggio.
Piaceva
molto anche a Lucky, non fosse per quell'antipatico gatto che
possedeva e che rovinava decisamente le loro visite alla donnina.
Qualche
volta Samuel si era recato anche nel piccola paesino vicino per bere
qualcosa e fare un poco di vita mondana.
La
gente l'aveva accolto con molta curiosità ed era persino riuscito a
fare breccia su una bella biondina che l'aveva tallonato per un paio
di sere.
Se
non fosse stato ancora in via di recupero dopo il divorzio
sicuramente ci sarebbe uscito.
La
cosa più importante però era accaduta quando aveva conosciuto
Richard, un ragazzo di due anni più vecchio che da sempre viveva in
quel paesino, e che lavorava come barista nell'unico bar della zona.
Gli
era entrato subito in simpatia e, nel giro di un paio di sere, erano
diventati grandi amici.
In
un qualche modo la sua mole imponente e i grandi occhi castani e
vivaci gli ricordavano il suo migliore amico ai tempi della scuola.
Nei
tempi morti in cui non si esercitava al piano e non si esibiva,
Samuel sbrigava qualche lavoretto attorno alla casa, era ben tenuta,
certo, ma comunque necessitava di ristrutturazioni e migliorie per
diventare la casa dei suoi sogni.
Talvolta
Richard andava a dargli una mano e assieme si facevano sempre grandi
risate proprio come due adolescenti.
Si,
ora la sua vita poteva finalmente riprendere e migliorare, sentiva di
essere sulla strada giusta per ritrovare la serenità tanto agognata.
Aveva
amici, una bella casa, una vita modesta ma piena, aveva la comodità
di poter fare il proprio lavoro in un luogo dove non doveva
preoccuparsi di non fare troppo rumore, aveva Lucky a tenergli
compagnia nei momenti di malinconia e tanto gli bastava.
Ormai
non pensava quasi più alla sua vecchia vita e piano piano i ricordi
della donna dalla quale era stato abbandonato si andavano
affievolendo.
Il
telefono squillò e Samuel corse a rispondere.
“Ehi
Sam, che fai stasera? “ la voce allegra di Richard gli riempì le
orecchie.
“Niente
di che, pensavo di guardare un po' di tv e poi andare a letto, sono
stanco morto.” rispose Samuel lasciandosi sfuggire uno sbadiglio.
La
risata del amico lo colse di sorpresa.
“Che
hai da ridere?” gli chiese stranito e divertito allo stesso tempo,
l'allegria dell'amico era contagiosa.
“Oh
niente, è solo che pensavo che il mio vicino, quello di 90 anni ha
più vitalità di te.” scherzò stuzzicandolo.
“Ah
ah ah molto divertente Rik. Oggi ho lavorato tutto il giorno al
portico e la mia schiena ne risente.”
“Ok
ok fratello. Vorrà dire che faremo per un'altra sera. Vai a letto
nonnino, ci sentiamo domani!” lo sfottè Richiard.
“Fanculo!”
brontolò Samuel ridendo.
“Buona
notte anche a te!” gli rispose l'amico prima di riagganciare.
Sam
rimase a guardare il telefono scrollando la testa e sorridendo ancora
tra se e se.
Samuel
guardò la tv fino a che non gli si chiusero gli occhi e cadde in un
sonno profondo.
Tornò
con la mente nel bosco, un'altra volta si ritrovò a rincorrere la
misteriosa ragazza dai lunghi capelli.
Ma
questa volta la raggiunse quasi subito e riuscì a farla girare.
Rimase
colpito dalla delicatezza di quel viso liscio e un poco pallido che
gli si presentò davanti.
La
ragazza ridacchiava sotto i baffi piantandogli addosso occhi dolci di
un verde chiaro.
In
quegli occhi però, Samuel scorse un ombra di tristezza che lo colse
di sorpresa.
Nel
frattempo il sorriso della ragazza si spense lentamente e il suo
sguardo si fece ancor più intenso.
Sam
era affascinato da quella donna, continuava a girare lo sguardo dagli
occhi verdi ai capelli scuri, dal collo lungo e affusolato alle
guance che si andavano arrossendo in modo delizioso.
Si
fermò sulle labbra piene e di una sfumatura rosa di lucidalabbra.
La
ragazza le dischiuse lentamente e fece per dire qualcosa...
Un
suono melodioso entrò prepotentemente nel sogno svegliandolo di
colpo.
Si
guardò attorno spaventato.
Dalla
stanza accanto giungeva il suono del pianoforte, qualcuno stava
suonando una melodia a lui sconosciuta.
Deglutì
a fatica e prese coraggio, si alzò inforcando un utensile del
caminetto e si diresse con passo felpato verso l'origine del suono.
Stranamente
Lucky non si vedeva in circolazione e ciò era molto strano, vista la
sua natura guardinga e diffidente.
Chi
poteva essere entrato in casa sua?
Mosse
un passo dopo l'altro cercando di non fare il minimo rumore.
La
melodia usciva dolcemente dallo strumento, sicuramente chi lo stava
suonando conosceva bene la musica.
Giunse
sulla soglia impugnando saldamente l'attrezzo e tenendolo dinanzi a
sé, pronto a colpire.
Ma
non era certo pronto per quello che gli apparve davanti agli occhi.
Seduta
al pianoforte, intenta a suonare, vi era una figura femminile
attorniata da una strana aura che la rendeva quasi trasparente.
A
pochi passi di distanza Lucky giaceva seduto con lo sguardo attento
verso la ragazza come sotto ipnosi.
Sentì
i peli rizzarsi sulle braccia ed il cuore prese a battergli
all'impazzata mentre le mani lasciavano la presa sull'attrezzo che
cadde con un secco rumore metallico contro il pavimento.
La
ragazza smise di suonare e girò lentamente il viso.
Samuel
non poté credere ai propri: dinanzi a sé la ragazza del suo sogno.
Dopo
alcuni secondi di silenzio in cui l'uomo pensò freneticamente a cosa
fare, la ragazza inclinò la testa e gli sorrise tristemente.
Fu
allora che Samuel abbandonò l'idea di scappare a gambe levate,
montare in macchina e andare il più lontano possibile da lì.
Qualcosa
nello sguardo della ragazza lo affascinava e, sebbene le gambe gli
tremassero come quelle di un bambino, mosse qualche passo titubante
nella sua direzione, desideroso di osservarla meglio.
“C-chi
sei?” le chiese con voce rauca.
Ma
la ragazza non rispose e abbassò lo sguardo.
Lucky
si avvicinò a lei e cercò di leccarle una mano come a volerla
consolare, evidentemente la sua sensibilità era così acuta da
sentire lo stato d'animo del fantasma, perché, Samuel ne era certo,
quello era un fantasma.
“Forse
non puoi parlare?” chiese più a se stesso che a lei.
La
ragazza tornò a guardarlo e scosse la testa e si alzò dallo
sgabello.
Si
avvicinò fluttuando e si fermò a pochi passi di distanza dall'uomo.
Samuel
cercò di combattere contro l'istinto di indietreggiare ma si impose
di resistere, quel fantasma non sembrava intenzionato a fargli del
male.
Negli
occhi della ragazza vi era una tristezza così profonda che si sentì
stringere il cuore.
Il
fantasma aprì la bocca ma non vi uscì alcun suono.
“Non
ti capisco.” disse lui avvicinandosi quasi inconsapevolmente di un
paio di passi e scrutandola con attenzione stringendo gli occhi sulle
labbra della giovane.
“Aiutami.”
riuscì finalmente a leggerne il labiale.
E
detto questo la ragazza scomparve così com'era apparsa.
Dopo
un primo momento di sbigottimento Samuel corse al comò e ne tirò
fuori la foto che vi aveva gettato dentro mesi mesi addietro.
Se
l'era quasi dimenticata.
Accese
la luce in corridoio e la scrutò attentamente.
La
giovane ragazza che le si era mostrata era la stessa della foto,
forse di qualche anno più piccola, ma era decisamente lei, i lunghi
capelli castani e gli occhi verdi, il viso grazioso dai lineamenti
delicati erano i suoi.
Una
domanda gli catturò la mente: chi era quella ragazza? Perché aveva
chiesto aiuto?
Facendosi
coraggio Samuel bussò alla porta della signora Mcgonall che gli aprì
dopo alcuni minuti.
“Oh
mio caro, che piacere. Accomodati.” gli fece cenno di entrare
scostandosi dalla porta “ciao bellissimo.” si chinò ad
accarezzare Lucky dolcemente.
“Grazie
signora.”
“Si
accomodi mio caro, preparo un the e sono subito da te.” gli disse
dirigendosi lentamente verso la cucina dove prese a cercare tazze e
teiera.
Samuel
sedette sul divano e mormorò a Lucky di sedersi accanto ai propri
piedi e di stare buono.
Il
gatto della donna non si vedeva in giro ed il cane pareva sollevato.
Dopo
una decina di minuti la donna servì the e biscotti e sedette sulla
poltrona di fronte all'uomo.
Lucky
furbamente si alzò e andò a sedersi accanto alla poltrona della
donna che, divertita, gli allungò un biscotto.
“Cosa
ti posta qui mio caro?” gli chiese prima di prendere un sorso di
the caldo.
“A
dire il vero vorrei farle qualche domanda se non le do noia.” le
rispose titubante.
“Oh,
beh se posso aiutarti lo farò volentieri, sei un così caro
ragazzo.” gli disse sorridendo sebbene ne fosse rimasta sorpresa.
“Grazie.
Lei sa chi abitava nella mia casa prima che fosse abbandonata?”
La
donna sospirò dolorosamente e abbassò lo sguardo persa nei ricordi.
Samuel
attese qualche istante pensando che l'avrebbe cacciato, invece la
donna sospirò un'altra volta e con voce flebile prese a raccontare.
“Nella
tua casa abitava una donna con sua figlia, una bellissima ragazza,
così dolce e solare che in paese tutti l'adoravano. Erano molto
unite e sembravano condurre una vita serena finché la madre non si
innamorò di un uomo. Dopo soli due mesi l'uomo si trasferì nella
casa in pianta stabile. Fu allora che cominciarono i problemi. Pare
che l'uomo non fosse poi così bravo con la ragazza, ma era abile e
furbo, si fingeva un angelo in presenza della madre salvo poi
trasformarsi in mostro quando rimaneva solo con la ragazza.
Il
sorriso della giovane si spense giorno dopo giorno, prese a evitare
le gente che le faceva domande, non usciva quasi più con gli amici,
lasciò il ragazzo e i suoi voti a scuola precipitarono. Riuscì
comunque a diplomarsi ma con scarsi onori.
Un
giorno la ragazza scomparve, in paese si pensò che fosse scappata di
casa incapace di reggere ancora quella situazione ma la madre non se
ne stette, conosceva sua figlia ed era certa che non avrebbe mai
fatto una cosa simile.
Le
forze dell'ordine la cercarono in lungo e in largo per sei mesi prima
di abbandonare le ricerche. Il fidanzato della madre fu interrogato a
lungo ma subito rilasciato per mancanza di prove. Della ragazza non
si seppe più nulla. Alcuni pensano che sia riuscita a rifarsi una
vita chissà dove, altri sono certi che sia stata assassinata e altri
ancora pensano che sia stata rapita. Io sinceramente non so cosa
pensare ma posso dirti che qualcosa stava consumando la vitalità di
quella dolce ragazza, nei suoi occhi si leggeva la disperazione più
nera.
Tutto
ciò che so è che l'uomo e la madre si lasciarono appena le ricerche
si fermarono e lei si trasferì a Derry. Di lui non so nulla perché
sparì dall'oggi al domani e di lui non si seppe più nulla.
Comunque
sia andata spero che la ragazza sia felice, ovunque sia.”
terminato
il racconto la donna si asciugò le lacrime commossa.
“Mi
scusi, non volevo turbarla è solo che ho trovato questa in casa e mi
chiedevo se appartenesse alla famiglia precedente.” e detto questo
le allungò la foto che teneva nel taschino della camicia.
La
donna la prese e, dopo averla guardate un paio di secondi, singhiozzò
restituendogliela.
“Si,
è la ragazza, Maisei. Vede quanto era bella?”
“Si,
era molto bella. E quello dietro a lei è il fidanzato della madre?”
chiese con fare noncurante sebbene morisse dalla voglia di saperne di
più.
La
Mcgonall annuì aggrottando la fronte.
“Mi
creda, io non lo conoscevo bene ma certe cose si sentono a pelle.
Quell'uomo era una gran bastardo, mi permetta, c'era nel suo sguardo
una cattiveria così forte che mi spaventava e cercavo di evitarlo
come potevo. Non so proprio come Hanna abbia potuto innamorarsi di
lui.”
Ancora
sconvolto Samuel lasciò la casa e ringraziò la signora Mcgonall,
salì in macchina e tornò a casa con un peso sul cuore.
“Tu
ci credi nell'aldilà?” chiese Samuel prima di infilarsi un gnocco
in bocca.
Richard
parve rifletterci un momento poi scosse la spalle “Immagino di si.
Penso che tutti noi in fondo in fondo ci crediamo.”
Samuel
annuì spostando un paio di gnocchi con la forchetta.
“E
credi anche ai fantasmi?” buttò lì cercando di apparire
disinteressato.
Richard
sputò quasi l'acqua che stava bevendo.
“Ehi
amico, cosa ti salta in mente stasera? Hai visto forse un fantasma?”
scherzò ridendo a crepapelle.
“No...certo
che no.” borbottò Sam prima di tornare ad ingozzarsi.
Mangiarono
in silenzio per qualche momento poi Samuel ritentò “Senti ma tu
conoscevi Maisie, la ragazza che abitava qui prima?”
L'amico
sospirò e allontanò il piatto vuoto da sé “Si, ma di vista. Era
una gran bella ragazza ma era fidanzata per cui le sono sempre girato
allargo. E poi era davvero troppo bella per notare uno come me.”
Sam
sorrise.
“Tu
pensi che sia morta? La signora Mcgonall mi ha raccontato tutto ieri
quando sono andato a trovarla.”
“Non
dovrei dire una cosa del genere ma...qualunque cosa le sia successa
il fidanzato della madre ne è responsabile. John Gray era un
viscido, uno di quegli uomini che si fingono agnelli ma che poi sono
squali fra le mura di casa.” confessò turbato.
“Era
davvero una ragazza straordinaria.” mormorò in collera.
“E
questo John dov'è adesso?” chiese Sam trepidante.
“Non
saprei, si dice che qualcuno l'abbia visto non lontano da qui, vive
in una roulotte in mezzo ad un campo isolato. Ma potrebbero essere
solo voci.” Richard scosse la testa.
“Che
dici, guardiamo la partita?” cambiò discorso e il famigliare
sorriso da ragazzino tornò ad illuminargli il viso.
“Certo!”
rispose Samuel.
Ma
non riuscì comunque a concentrarsi sulla partita, la mente presa da
pensieri oscuri.
Samuel
prese a dormire di giorno in modo da restare alzato durante la notte,
sperando che la ragazza tornasse da lui.
Continuava
a fare lo stesso sogno ma con una variante: la ragazza ora gli
chiedeva aiuto.
Passarono
due mesi e il fantasma non si fece più vedere nonostante Samuel la
cercasse ogni notte.
Prese
perfino a parlarle nella speranza che lei, ovunque fosse, potesse
sentirlo.
Quando
ormai aveva perso le speranze una notte, affacciandosi alla finestra,
la vide accanto ad un albero.
Corse
fuori concitatamente mosso dalla paura di averla solo immaginata ma,
quando giunse in giardino, la trovò lì dove l'aveva veduta.
La
ragazza gli sorrise ed il suo volto parve illuminarsi per un breve
momento.
Samuel
si trovò a pensare che era davvero bella, con quei lunghi capelli
mossi dal vento e gli occhi che splendevano al buio.
“Sai
come sei morta?” le chiese pentendosi subito dopo per essere stato
indelicato.
Ma
lei parve non offendersi.
Annuì
e abbassò lo sguardo.
“C'entra
quell'uomo vero?” chiese ancora avvicinandosi.
Avrebbe
voluto abbracciarla e cancellare quell'aria ferita ma non pensava
fosse possibile toccare uno spirito.
La
ragazza annuì ancora e sollevò lo sguardo.
“Come?”
chiese lui.
E
allora lei si avvicinò fluttuando e poggiò la fronte alla sua.
Samuel
sentì freddo nel punto in cui la ragazza lo stava toccando, poi fu
catapultato in un sogno ad occhi aperti.
Era
nel corpo della ragazza, sentiva la sua paura come fosse la propria.
Era
ranicchiata sotto al letto e si copriva la bocca con la mano per
impedirsi di singhiozzare.
Qualcuno
entrò nella camera sbattendo la porta.
I
passi si allontanarono e il rumore dell'armadio che si apriva la fece
trasalire.
L'uomo,
così sembrava, si diresse verso il letto, le scarpe lucide entrarono
nella sua visuale.
“Vieni
fuori Maisie, non voglio farti del male. Andiamo, vieni a giocare con
me.” la voce cantilenante dell'uomo la fece rabbrividire.
Chiuse
gli occhi troppo spaventata per guardare.
Dopo
un paio di minuti si sentì tirare per un braccio e prese ad urlare
mentre l'uomo la tirava fuori da sotto il letto a forza.
Lei
scalciò ma ottenne soltanto di farlo arrabbiare ancor di più. La
sollevò di peso e la strinse a sé squadrandola con quegli occhi
lascivi.
“So
che lo vuoi anche tu, fai la smorfiosa ma in realtà io ti piaccio e
tanto, si vede dal modo in cui mi guardi.” le sussurrò
all'orecchio per poi depositarle un viscido bacio sul collo.
“No!
Lasciami stare!” urlò Maisie spingendolo via e scappando in
corridoio.
Scese
le scale ma arrivata agli ultimi gradini inciampò e cadde
rovinosamente slogandosi la caviglia.
Pianse
di dolore mentre cercava di strisciare verso la porta d'ingresso,
John stava scendendo lentamente le scale guardandola con occhi di
fuoco.
Non
ci mise molto a prenderla e trascinarla sotto di se.
“Sei
solo una piccola smorfiosa, non fare la difficile.” le sussurrò
rocamente strusciandolesi addosso.
“Lasciami
stare porco!” urlò la ragazza e gli diede uno schiaffo con tutta
la forza che aveva.
“La
pagherai stupida ragazzina!” e la prese per il collo stringendo
sempre più forte.
Maisie
sentiva le forze abbandonarla, non riusciva ad opporsi e si sentiva
di scivolare via dal proprio corpo.
Provò
ad urlare ma ottenne solo di far rinsaldare ancor più la stretta di
quelle mani bollenti attorno alla gola. Poi fu tutto buio.
Samuel
si portò le mani alla gola tossendo forte, i polmoni gli bruciavano
come fuoco.
Si
chinò sulle ginocchia riprendendo fiato.
“M-mi
dispiace Maisie.” disse flebilmente con gli occhi lucidi.
La
ragazza lo guardò dolcemente e poi si allontanò leggermente in modo
da lasciargli spazio per rialzarsi senza toccarla.
“Dov'è
il tuo corpo?” le chiese dopo essersi ripreso.
Maisie
si voltò e prese a fluttuare in direzione del bosco.
Non
seppe per quanto camminò ma alla fine giunsero in una piccola radura
e Samuel riconobbe l'albero davanti al quale Lucky si era fermato
qualche mese prima durante una passeggiata.
“è
qui che ti ha sepolta?” le chiese sapendo già la risposta.
Lei
annuì e parve sul punto di piangere.
Sam
mosse un passo verso di lei e allungò la mano carezzandole la
guancia.
Sotto
le dita sentì solo freddo come se avesse immerso la mano nell'acqua
gelida di un lago ghiaccaiato.
Maisie
parve sorpresa ma poi chiuse gli occhi e accolse quel gesto.
Samuel
scavò per tutta la notte e, quando trovò i resti della ragazza
chiamò la polizia.
Nei
giorni seguenti casa sua venne presa d'assalto dalla polizia, venne
interrogato a lungo e non fu facile spiegare il motivo per cui
aveva scavato proprio in quel punto.
Ma
nonostante tutto se la cavò.
Nelle
settimane seguenti i resti vennero esaminati e fu dichiarato
appartenessero a Maisie Conrad scomparsa tre anni addietro.
Ne
fu informata la madre che accusò un malore e venne ricoverata
all'ospedale, Samuel le portò dei fiori sentendosi in dovere di
farlo, se non per la donna, almeno per Maisie.
Ma
non era finita lì, Samuel sentiva di dover compiere ancora un passo
per garantire a Maisie il riposo eterno tanto agognato.
Doveva
trovare John.
Maisie
ormai passava a trovarlo ogni notte, si metteva al piano e suonava
per lui affascinando sia Samuel che Lucky.
Una
di quelle notti Sam le si avvicinò carezzandole la guancia, ormai si
era abituato alla strana sensazione che gli provocava toccarla.
“Maisie,
io credo di sapere dov'è John.” le comunicò.
La
ragazza si ritrasse e sbarrò gli occhi spaventata.
Prese
a scuotere la testa terrorizzata e, nella foga, cercò di stringergli
un polso.
“Non
ti preoccupare, non mi succederà nulla.” la rassicurò.
Ma
la ragazza non sembrò convinta e scosse ancora la testa.
“Maisie
io voglio che marcisca in galera com'è giusto che sia. Tu meriti
giustizia.” le disse accorato inginocchiandosi di fronte a lei.
La
ragazza lo guardò addolorata e scossa e poi scomparve nel nulla.
Per
alcune settimane Maisie non si fece vedere e Samuel cominciò a
preoccuparsi.
Nonostante
questo un giorno partì e dopo alcune ore passate a battere strade e
campi si imbatté in una roulotte adagiata in un campo piuttosto
nascosto, lontano dalle strade.
Doveva
essere la casa di John.
Aveva
raccolto qualche informazione in giro ed era per cui quasi certo che
fosse proprio la sua roulotte.
Si
avvicinò guardingo e si affacciò alla piccola e lurida finestra
sbirciando dentro.
All'interno
riuscì a distinguere una figura maschile che pareva dormire della
grossa in un letto zozzo.
Alla
vista di quell'uomo Samuel sentì il sangue ribollire nelle vene,
ricordò di quando, grazie a Maisie, aveva rivissuto la sua morte, di
come quel mostro l'aveva privata della vita.
Con
tutta la forza che aveva nei polmoni urlò. “Esci fuori sporco
bastardo!”
un
chiasso tremendo ruppe il silenzio e John uscì fuori con aria
minacciosa.
“Chi
sei tu e cosa vuoi?” gli ringhiò contro.
“Non
importa chi sono io, piuttosto dovresti preoccuparti di ciò che hai
fatto.”
“Non
so di cosa stai parlando.” disse l'uomo ma appariva nervoso.
“Tu
hai ucciso Maisie e ti giuro, farò di tutto per vederti marcire in
galera, fosse l'ultima cosa che faccio!” urlò Sam in preda alla
furia.
John
trasalì prendendo a sudare freddo.
Prima
di abbandonare la roulotte però aveva afferrato la pistola che
teneva sotto al materasso e ora la tirò fuori dalla cintola, dietro
la schiena.
Sam
si accorse troppo tardi del grave errore commesso e si ritrovò con
la canna puntata addosso, non aveva via di scampo.
Ma
proprio nel momento in cui John si apprestava a premere il grilletto,
dinanzi a lui apparve Maisie.
L'uomo
sgranò gli occhi in preda al terrore.
“Tu-tu
non puoi essere qui, sei morta! Ti ho seppellita io stesso!”
balbettò.
Maisie
lo guardò fisso poi, rapidamente, si avvicinò e gli appoggio la
mano alla fronte concentrandosi.
Samuel
vide con orrore l'uomo girare il polso e portarsi la pistola alla
tempia, quindi sparò.
Il
corpo di John cadde al suolo privo di vita.
Maisie
si voltò verso Sam e lentamente sorrise mentre si avvicinavano l'uno
all'altra.
“Ora
è tutto finito.” sussurrò il ragazzo carezzandole la guancia.
Fu
una sensazione strana ma comunque in quel gesto sentì tutto l'amore
che li legava.
Tornato
a casa Samuel chiamò Maisie che si palesò nel mezzo del soggiorno.
La
ragazza lo guardò dolcemente.
“Maisie,
io credo di amarti.” le sussurrò sentendosi stringere il cuore.
Maisie
sorrise e, per la prima volta, il sorriso raggiunse anche gli occhi.
Annuì e sillabò “Ti amo anche io.” sebbene non potesse udirle,
quelle parole fecero breccia nel suo cuore.
“Te
ne andrai vero?” sussurrò Samuel sentendo un fitta al cuore.
La
ragazza lo guardò intensamente a infine annuì tristemente.
“Lo
capisco, è ora che tu vada...ma è difficile lasciarti andare
proprio ora che ti ho trovata.”
Per
tutta risposta Maisie gli appoggiò una mano sul cuore e, per
un'istante, Samuel poté davvero sentire dentro di sé la forza del
sentimento che li legava.
Commosso
la abbracciò, sebbene entrare in contatto con lei gli desse sempre
una strana sensazione ma non spiacevole, solo...strana.
Quando
si staccarono lei fece segno di seguirla e si diresse in giardino
fermandosi a guadare il cielo con aria serena.
Rimasero
così per qualche minuto, lei a guardare il cielo e lui a guardare
lei cercando di imprimersi nella memoria il suo viso prima che
svanisse.
Maisie
sospirò e si voltò verso di lui, si avvicinò e le sue fredde
labbra si posarono sulle sue per la prima ed ultima volta.
Rimasero
così per un po' fino a che Maisie non si staccò retrocedendo di
qualche passo.
Gli
sorrise ancora una volta e il suo sorriso parve illuminare quella
notte più della luna, poi semplicemente svanì.
Samuel
si ritrovò con gli occhi fissi nel punto in cui, fino ad un momento
prima c'era lei, e ora rimaneva la terra nuda.
Senza
vergogna si accasciò a terra e pianse tutte le sue lacrime, come non
faceva più da quando era un bambino.
Un
naso freddo gli toccò la mano e, quando sollevò il viso, la lingua
rugosa di Lucky asciugò le lacrime sul suo viso.
Samuel
strinse a sé il cane e, guardando in cielo scorse una stella più
luminosa delle altre.
“Ti
amerò per sempre Maisie.” sussurrò certo che, ovunque lei fosse,
l'avrebbe sentito.
FINE
Spero che la storia vi sia piaciuta, adoro particolarmente i fantasmi e non ho resistito alla tentazione di scrivere un piccolo racconto su di essi.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Bacioni dalla vostra Cry.